Gita premio a Cattolica.

La gita tanto sospirata

era finalmente arrivata.

All’orizzonte si profilavano nubi oscure

ma la fam. M. senza più paure,

inforcando la loro vetturetta,

partirono alla volta della Loretta.

L’auto stracolma era:

valigie ,valigette,

scarpe e borsette,

anche le uova c’erano!

ed eran fresche di giornata,

pero’ nel gran trambusto

fu fatta una frittata!

Il viaggio era così iniziato,

la pioggia non aveva cessato,

ma la speranza dei 4 gitanti

era di trovare il sole più avanti.

AHIME’!

Speranza inutile e vana:

arrivando in quel di Cattolica

soffiava pure la tramontana!

I bagagli furono comunque scaricati,

passeggeri e passeggini sistemati,

per dare inizio al pranzo domenicale

sotto un’incessante pioggia torrenziale.

Cos’ nel pomeriggio, per romper la monotonia,

si decise di prender l’auto ed andare via.

Se nonché all’improvviso,

un triste evento

ci spense il sorriso.

La Fabiana, con fare maldestro

e assai distratto,

blocco’ la leva dell’ IBIZA

con un sol scatto.

Le ire del M. furono scatenate

le risa dei 4 raggelate,

ma la Loretta con destrezza e maestria

riparo’ la leva, che cosi’ non volo’ più via. Continua a leggere “Gita premio a Cattolica.”

Una grigia e bigia giornata inconcludente.

Sono a casa dal lavoro dal lontano 30 gennaio e reclusa praticamente in casa, a parte le rare uscite e solo per visite mediche. Il tutto e’ iniziato con quella orrida influenza,denominata dai media e dalla TV pacifica. In realtà procura febbre altissima e dolori alle ossa, che no ho mai avuto cosi’ forti per una banale influenza. E fin qui pazienza, ci può stare, in fondo eravamo nel picco a gennaio, ed io robusta e forte come sono, l’ho beccata subito dal povero R. che ha avuto quasi 40 di febbre. Ha sopportato tutto senza mai lamentarsi, stoicamente, come ha sempre fatto sin da piccolino,in questo ammetto e non ritratto, che non mi somiglia per niente. Gli era anche partita una di quelle sue proverbiali tossi che io definisco a baionetta, cioè un susseguirsi di colpi tossiti senza tregua, uno dopo l’altro ininterrottamente. E fin qui pazienza ancora! Terminata la sua influenza e nel bel mezzo della mia, mi parte anche un blocco alla schiena nell’esatto punto dove io possiedo da anni,anni ed anni e guai a toccarle, anche solo per accarezzarle, numero due ernie al disco. Faccio la risonanza magnetica, dato il persistere fortissimo del dolore e scopro che una delle due ernie e’ stata espulsa dal suo disco, cioè se n’è migrata per i fatti suoi.Quale felicita’ nello scoprirlo e nel sapere che forse l’unica soluzione possibile e’ l’intervento chirurgico, applicando qualche vite al titanio qua e là nella mia schiena,che e’ pure dotata di scoliosi. Ebbene sì, se posso non mi faccio mancare nulla!! Continua a leggere “Una grigia e bigia giornata inconcludente.”

I figli son piez e core.

Sento Imperial Palace, Kyoto, Japan - one of v...
Sento Imperial Palace, Kyoto, Japan – one of various bridges. (Photo credit: Wikipedia)

Piange il ragazzo

guardando la mamma,

piange e il cuor si rattrista.

Non vedo le lacrime,

non sento i singhiozzi:

piange da solo,

da calci al mio cuore.

Non sento dolore,

non sento nulla.

Ride la bimba

con gote arrossate,

scendono copiose

le mie lacrime,

sono di gioia.

Mi abbraccia la bimba

mi bacia dovunque

e io rido, saltello

l’abbraccio di più.

Gioca e ride forte la bimba

corre incontro al ragazzo,

con mani di panna montata

gli bacia il nasino

bagnato di lacrime.

Lo cerca, lo vuole,

lo protegge

come una mammina.

E’ un piccolo angelo,

dopo la mia partenza,

non lo lascerà mai più.

Son belli i miei figli!

Son tutta la mia vita,

li guardo, li voglio,

non mi appartengono,

li adoro, li amo,

non li merito..

In lontananza un’eco

di pianto sommesso…

cos’è?

E’ solo il mio cuore

che trabocca d’amore

per sempre e per loro.

Mamma,6 ottobre 2006.

I nostri amati ed adorati figli non sono nostra proprietà esclusiva, abbiamo fatto solo da tramite come dice Kahlil Gibran, noi siamo il Ponte da attraversare  con prudenza stando attaccati ai corrimano di legno. Questo Ponte della vita, consentirà loro di arrivare sino in fondo alla strada che li porterà tra braccia e mondi nuovi.

Fabiana.

Termini reggiani italianizzati.

Questa specie di componimento appositamente strampalato,lo dedico a tutte quelle persone, soprattutto anziani,che non hanno avuto la possibilità e la fortuna, di frequentare le Scuole Elementari.Non hanno pertanto potuto raggiungere una preparazione decorosa,dal punto di vista del nostro lessico e della grammatica. Vorrei ricordarvi che anche i miei genitori,come gran parte degli anziani, nati agli inizi del secolo scorso, hanno frequentato solamente la prima o seconda elementare,nel migliore dei casi, non avendo nemmeno la possibilità di acquistare un quaderno.Nella mia storia personale,che conosco alla perfezione, i miei nonni li hanno abituati sin da bambini molto piccoli(5 anni)ad imparare il mestiere di contadini. Malgrado le insistenze, soprattutto di mia madre che adorava la scuola, la maestra, ed il sapere in tutte le sue forme,non ci fu nulla da fare. La nonna materna, rimasta vedova a 32 anni, con 4 figli da crescere, non si poteva certamente permettere il lusso di mantenere i figli agli studi.Questo per mia madre fu un dispiacere enorme, ne fece dei grossi pianti e strepiti, ma infine testarda e caparbia com’era,(forse ho preso da lei, i miei cocciuti geni??!), decise di applicarsi da sola, facendosi prestare i quaderni dagli altri bambini del paese, che andavano a scuola.Imparò così da sola,i primi rudimenti della nostra lingua italiana, facendo esercizio, come autodidatta, durante l’accudimento delle mucche al pascolo. Mentre le simpatiche ed ingombranti mamme, brucavano tranquille e serene, l’erba fresca dei campi, mia madre su di un sasso, scriveva il verbo essere con un gessetto da sarta. Sembra preistoria, ma è pura e semplice realtà,la dimostrazione tangibile e palpabile che “volere è potere”, come ha sempre detto lei.Così come ha imparato da sola, con grande tenacia e volontà ferrea, a fare la sarta, la cuoca, la cameriera, la giardiniera (non quella da mettere accanto ai bolliti…), la mediatrice immobiliare,la geometra,la parrucchiera, la consulente d’immagine (la chiameremmo così ai giorni nostri), l’insegnante di religione (catechista), l’ostetrica (faceva partorire gli animali della nostra fattoria…), l’infermiera professionista. Voi sorriderete e vi domanderete: ma era la donna bionica? O era la controfigura di Wonder Woman di cinquanta anni fa? Continua a leggere “Termini reggiani italianizzati.”

Il silenzio davanti agli scempi.

Ringrazio sentitamente la signora Corvini per la concreta ed inaspettata risposta, nella sua lettera del nove ottobre. Sono portata a pensare che forse è un insegnante, forse in pensione (parola lontana per la sottoscritta) o forse ancora nel pieno dell’esercizio delle sue importanti funzioni. Ricevo, come voi, una risposta non scontata e non ovvia, peccato però! e di questo me ne rammarico molto, sia stata per ora la sola che ho ricevuto. La signora ci fa notare con estrema lucidità,  che mentre accadevano gli scempi a noi ben noti,  tutti quanti eravamo qua, ad osservare e, ad accettare tacitamente. Parole un poco dure ma reali, noi c’eravamo e permettevamo, ognuno a modo proprio, di continuare a fare quello che stavano facendo già da anni e annorum,. Già, inutile e stupido recriminare ora, mi sono detta…Forse eravamo anche noi affacendati in simili faccende per non mettere uno stop a tutto questo? Vede Dott. Nitrosi, anche io come mamma e come donna, nutro moltissime speranze negli organi scolastici e negli insegnanti, prego che non smettano di fare con amore e dedizione il loro mestiere e mi auspico, come spero tutti i genitori,  riescano nel difficile e delicato compito di far crescere i nostri figli. Pienamente d’accordo con la signora Corvini che ora il Re è nudo, ma per rivestirlo a dovere e con abiti dignitosi, senza buchi e senza toppe, come si conviene ad un vero regnante, dobbiamo ridisegnare il modello dell’abito tutto daccapo, studiarne il bozzetto e fare diverse “prove di sartoria”. Non so perchè ma al momento non vedo molta volontà di iniziare a fare “i sarti”, non respiro aria di ferrea convinzione e desiderio di collaborare insieme. Non aleggia ancora nell’aria la certezza che andando avanti così, finiremo dentro ad un baratro talmente profondo, dal quale, credo non ci rialzeremo più. Non voglio essere pessimista, lungi da me, solo realista e concreta, (l’età me lo permette), ma dai riscontri alquanto silenziosi e rassegnati dei miei concittadini, non ho ancora potuto captare un benchè minimo segnale di rinnovamento. Non è più il tempo dell’attesa, ora non è il momento di fare i compiti al pomeriggio è ora di darsi una regolata in tutti i sensi:  qua e subito. Anzi ripensandoci bene, non dovevamo chiudere  la stalla quando i buoi, inferociti se ne erano già fuggiti via. Sono anche io come sempre e nel limite delle mie possibilità, disponibile a collaborare per il bene ed il futuro dei nostri ragazzi.

Reggio Emilia, 18 ottobre 2012

Forse dovremmo rispolverare il concetto di comunità educante, ovvero il senso di corresponsabilità nell’educazione; a partire da quella dei bambini per arrivare a chiederla agli eletti. (Dott. DavideNitrosi ndr)

 

Io mamma, umile scolara davanti ai miei figli.

Ho avuto tanto dalla vita, forse troppo, ma la ricchezza maggiore che possiedo sono i miei figli.Capisco solo ora alla mia eta’,quanto sia importante, il rapporto diretto e quotidiano con loro, specialmente quando sono ancora bambini, puri e innocenti come degli Angeli.
Studiando il comportamento di mia figlia( quattro anni e mezzo) potendola osservare da vicino, anche nei piccoli ma significativi cambiamenti ai quali giorno per giorno assisto,  sono stupita e meravigliata di quanto un esserino cosi’piccolo possa apprendere ed assorbire come una spugna.
Di conseguenza, ciò che recepisce,  riesce a trasmetterlo a noi adulti,nel bene o nel male. Ci rimanda indietro le nozioni nuove che ha imparato,allineandosi sempre maggiormente con gli adulti.Da qui, mi sento di dire che io, mamma non più giovanissima, imparo ogni minuto cose nuove da lei.Mi sembra di essere una “primipara”, pur avendo un altro figlio oramai grande!Ho maturato la convinzione che è per noi genitori, terapeutico e prioritario giocare ed interagire con loro su un tappeto,sotto ad una tenda,in cucina, nella loro cameretta, assecondandoli nei lori gesti e movimenti che d’acchito, potrebbero sembrare stupidi ed insignificanti. Non possiamo e non dobbiamo cambiare i loro giochi,anche se avolte potrebbero apparire sciocchi, ma dobbiamo fonderci con loro ed entrare in totale empatia. Dobbiamo lasciare da parte per qualche ora palestre, e pile di piatti da lavare, o l’argenteria da lucidare. Spesso i bambini parlano da soli e si rispondono, inventando favole e storie che solo loro conoscono.Se ci comportassimo noi adulti in questo modo, chissà! Forse verremmo presi per matti.Ci si immerge cosi’,in un mondo fatato dove non esistono cattiveria e falsità, dove tutto diventa magico e naturale,ed una sedia si trasforma nel la carrozza di Cenerentola.Ho fatto la scelta un anno fa, ponderata,di rimanere a casa dal mio impiego di bancaria e ho decisodi svolgere il mestiere più bello faticoso ed impegnativo del mondo:la mamma. Rimanere accanto alla mia famiglia,che viene prima di tutto, essere vicino alla mia bimba nella sua crescita e a mio figlio nella sua adolescenza complicata e delicata. Mi rimprovero ancora,di non averlo seguito personalmente quando era piccolo, ma di averlo affidato a varie baby sitters e nonne; ero molto giovane ed il lavoro prese il sopravvento.Sono grata di quanto la bambina mi insegna, ed io umile scolara, cerco di imparare il più possibile da lei. Provo a non commettere errori compiuti anni fa,inevitabilmente ne commetterò altri, sotto un’altra veste.Rimango sgomenta, quando sento dalla TV o leggo sui giornali tutte quelle violenze inaudite che i bambini subiscono, anche dai propri genitori o da persone alle quali vengono affidate e delle quali ci fidiamo.Ogni torto o violenza fatta anche in tenera eta’, e’ come un marchio a fuoco impresso nelle loro menti che non andrà via mai più.Purtroppo gesti impulsivi o violenti sia fisici sia psicologici, pregiudicheranno il futuro dei nostri amati figli, rendendoli a loro volta dei padri o delle madri violente o con gravi disagi psicologici. Continua a leggere “Io mamma, umile scolara davanti ai miei figli.”

Amarcord: una mamma d’altri tempi.

Carissimi ragazzi e ragazze di Reggio Emilia e dintorni, chi vi scrive e’ una mamma qualunque di 44 anni, che come tutte le mamme degli adolescenti d’oggi, penso stia vivendo assieme ai loro figli un periodo molto delicato e difficile, che fa comunque parte, nel bene e nel male del percorso della vita.Ho un figlio di quasi 14 anni, e una bambina di 3 anni. Non vi nascondo che in questo momento è il “grande” a darmi preoccupazioni e pensieri, la piccola avrà tempo per darmeli!Non venitemi ora a dire che sono antica, o sto facendo della retorica!Ci sono passata prima di voi, con genitori, vi assicuro, molto anziani e molto severi.Col senno di oggi, li devo però solo ringraziare per l’educazione e le regole ferree che mi hanno impartito.Quello che sono oggi,lo devo in parte a loro ed al loro severissimo modo di educarmi,in parte a me stessa per averli ascoltati e seguiti.Ovviamente quando ero ragazzina non li sopportavo e li “odiavo”.Soprattutto d’estate con trentotto gradi all’ombra. In modo assai improprio e superficiale parliamo oggi di estati torride, estati infernali ma vi ricordo che anche allora, con il caldo non si scherzava per niente. Bugie su bugie. Lasciatemelo dire,io c’ero e naturalmente,come credo molti di voi, non avevo il condizionatore come abbiamo tutti oggi, non c’erano le zanzariere alle finestre,era un lusso di pochi. In casa solo gli odiati e puzzolenti zampironi, ve li ricordate?La dolce e cara mammina mi impediva persino di andare in “Cooperativa”, l’allora Bocciodromo del mio paese e unico bar per bermi un bicchiere fresco di chinotto da cinquanta lire, bibita che io adoravo. Solo cinquanta lire mi davano,perciò potevo permettermi di domandare,la misura del bicchiere più piccolo.La barista,chiamata da tutti la pantera, per la sua non ovvia bontà e dolcezza, mi guardava come se io fossi una povera mendicante, ben sapendo chi ero e che i miei genitori, contadini, benestanti e gran risparmiatori, non mi avrebbero dato una somma maggiore per il bicchiere più grande. L’avrei persino rubato, dalla gran voglia che avevo di berlo per il caldo afoso e ora che me ne posso permettere a casse, non lo sopporto più, mi viene la nausea solo a vederlo. In casa dentro ad un vecchio e sempre rotto frigorifero REX, c’era solo acqua del pozzo (che tra l’altro mi fece pure venire un para-tifo a 6 anni)o lo sciroppo Fabbri, di solito scaduto, all’amarena, per allungare l’acqua. In dispensa le amarognole e disgustose bustine di IDROLITINA, per far diventare frizzante l’acqua, ma a me sembrava di dover inghiottire un antibiotico, perciò con veemenza, mi rifiutavo di bere quella schifezza. Ora voi dolci ragazzi e ragazzine, sorriderete o inorridirete, al pensiero che io alle ventuno mentre voi sicuramente d’estate state ancora cenando,con iltermometro che misurava ancora circa trentatré avevo il coprifuoco, e dovevo andare a letto,con tutte quelle zanzare. Altro che notti bianche, altro che ritornare a casa alle sei delle mattina sbronzi e fatti (o disfatti?!), quando i miei genitori si alzavano per andare nella stalla ad accudire le mucche…Niente cellulare,Internet,Facebook, Psp,I Phone, e quant’altro la tecnologia di oggi ci offre.
Forse avrò anche sbagliato a scriverE tutti questi assurdi e per me inutili nomi moderni, perdonatemi, il fatto è che amo ancora carta, penna e calamaio, anche se per lavoro devo usare questa fredda ed impersonale tastiera. Ma che cos’era un cellulare nel 1975?Io per essere richiamata all’ovile sentivo le voci dei miei genitori che dicevano”Fabiana, andom a let. Subet),andiamo a letto. Subito. Era quel “SUBET” (subito!),che stava ad indicare che non si poteva transigere e ne discutere, era un ordine, non era un richiamo o un consiglio, no, era sicuramente e senza ombra di dubbio un ordine tassativo, senza sé e senza ma, ala quale dovevo ubbidire. Subito, punto e basta. Bastavano uno sguardo e quella parola chiara,
SUBET. Ho sempre indossato vestiti dismessi di mia sorella, o di parenti, scarpe più lunghe di almeno 2 misure, di conseguenza venivo derisa dagli altri e sembravo un noto e strambo personaggio che Voi Reggiani avrete di certo conosciuto “ZILOC”.Non per questo pero’ mi sentivo diversa dagli altri miei compagni di scuola,anche se a volte al mio passaggio,ridevano, io non me ne facevo certo un cruccio. Ero orgogliosa di me stessa, studentessa e ragazza modello, brava parrocchiana,che frequentava la Chiesa, leggeva le Sacre Scritture la domenica a Messa ,cantava (anche se stonata come un campanaccio da mucca svizzera),nel coro della Parrocchia e senza falsa modestia, recitava anche nella Compagnia Teatrale della Parrocchia (Il Muretto).Così gli anni passavano, ed io andavo avanti nelle mie attività scolastiche e nei miei sogni e buoni propositi,fiera di essere comunque un tantino diversa o fuori moda, dalla moltitudine degli altri miei coetanei. Oggi il invece il Vintage, ovvero il già vissuto od usato se vogliamo, in tutte le sue manifestazioni, e’ molto chic ed alla moda, io volente o nolente ho solo precorso i tempi tutto qua. Ora vi saluto cari ragazzi e figli del nostro tempo, vi auguro una buona fine della scuola ed un’estate piena di risate ed allegria, contornata da tanto fresco chinotto, all’ombra di una quercia gigante, così come vi auguro di dormire senza tutte quelle zanzare, oggi tigre che vi fanno compagnia.

Firmato: una mamma come tante. Fabiana Schianchi.

Primo articolo scritto sul Resto del Carlino, pagina NOI REGGIANI, MAGGIO 2008.

Quando l’abito dovrebbe fare il monaco.

Rientrando stamattina presto in automobile dopo aver accompagnato mia figlia alla Scuola Materna, canticchiando con la radio “Canzoni Stonate”, ancora un po’ assonnata, scorgo in lontananza su di una bicicletta, un abito nero lungo ai piedi, accollatissimo, dal quale spunta una fascetta bianca rigida, con maniche fino al polso, abbottonato dal collo alla cintura. Ma come, mi chiedo? Un abito nero che pedala in tutta fretta senza esitazioni? Spalanco gli occhi, inforco bene gli occhiali per vederci meglio, timorosa di avere le traveggole,poi penso che non e’carnevale e nemmeno halloween,infine realizzo che sotto a quell’abito c’è una persona di sesso maschile.Ebbene sì, cari lettori e lettrici, e’ un anziano e stimatissimo Parroco di Reggio Emilia, che ancora oggi nel 2009, con le mode e i tempi che corrono troppo velocemente, indossa l’abito talare, con tanto di clergyman bene in vista ed un’impostazione regale nell’indossarlo. Fiero e orgoglioso, noncurante degli sguardi di ammirazione e stupore che senz’altro suscita in noi che lo osserviamo, se ne va per la sua strada. La mia osservazione a questa persona e a pochissime altre oramai in via d’estinzione, si traduce in stima profonda e rispetto, andando ben al di la’di qualsiasi credo religioso o non religioso. Di questi tempi e’veramente difficile se non inconsueto, incontrare per strada un sacerdote vestito da sacerdote, ma personalmente non riesco a distinguerli. A volte, si potrebbe incorrere nel pericolo di fare gaffes con loro, non avendo nessunissimo segno di riconoscimento, nemmeno la spilla a forma di Crocefisso appuntata sul bordo della giacca o della camicia, di solito azzurra. Non vorrei apparire troppo all’antica o fare retorica, ma credo che ognuno di noi, a seconda del ruolo che svolge all’interno della nostra società, dovrebbe avere su di se’ un segno di distinzione. Cosi come al Medico e’ richiesto e gradito l’uso del camice bianco, cosi i Carabinieri e le forze dell’ordine hanno le loro divise, gli operatori del settore alimentare le loro cuffiette in testa e i guanti, i volontari delle ambulanze le loro uniformi a seconda della Croce che rappresentano e via discorrendo. Non mi sembra assolutamente spersonalizzante e troppo formale, indossare l’abito giusto al posto giusto, o il cartellino di riconoscimento sopra il taschino della giacca, o qualsiasi altro segnale inconfondibile e tranquillizzante per noi. Non reputo certo professionale e affidabile quel Medico, che puntualmente esegue i prelievi del sangue con camice bianco sempre sbottonato dove spunta un folto pelo per niente curato, senza guanti sterili, senza calze bianche, con zoccoli del Dr. SCHOLL’S di trenta anni fa. Non mangio volentieri il pane o la carne, che mi viene servita dopo aver fatto cassa, toccando le banconote del cliente precedente,ovviamente senza l’uso di guanti sterili. Non rimango  estasiata nell’entrare oggi in certi istituti bancari e vedere impiegate che sembrano uscite dal “BAGAGLINO” di Roma, o impiegati maschi senza giacca e cravatta con barbe incolte e capelli unti e bisunt. Anche io lavorato in Banca per quasi 18 anni e confesso ora, che sarei stata ben felice di indossare un tailleur o un tubino elegante con giacca, magari uguale alle altre mie colleghe. Sono favorevole alla proposta di reinserire nelle Scuole Elementari l’uso del grembiule per i nostri bambini, ottenendo una parità ed un’uguaglianza per tutti.Si eviterebbero quelle inutili spese per abbigliamento firmato, che creano nei nostri figli ancora in tenera eta’, solo rivalità, invidia, cattiveria, voglia di essere più bello e alla moda del proprio compagno di banco, in una assurda e dannosa gara per la loro psiche e in uno scialacquare soldi inutilmente per noi genitori. Questi piccoli diventeranno dei potenziali adolescenti sempre pronti a chiedere e ad ottenere oggetti di ogni tipo, consci che se non li possiedono non sono nessuno o peggio ancora! sono considerati degli sfortunati, per usare un eufemismo. Semplicità dunque ma gioia e fierezza nell’indossare qualcosa, fosse anche un piccolo segno, che ci faccia capire subito, in che modo possiamo essere utili agli altri.

Commento del capo cronista:

D’ accordissimo con Lei. E’ vero che l’abito non fa il monaco, ma è anche vero che oggi più di ieri l’abito spinge il monaco a comportarsi da monaco.

Il mare della vita.

Ascolto il mare

con il suo sciabordio.

Lo sento pulsare

nelle tempie,

vedo le sue onde

rotondeggianti

su di me.

Mi avvolgono, togliendomi il respiro.

Ne assaporo il salato

sulla pelle nuda

che rabbrividisce all’istante.

Mi annebbia la mente ed i sensi

annullandomi completamente,

mi regala

una sensazione meravigliosa

di pace e beatitudine.

All’improvviso non ho più paura,

l’acqua non mi spaventa più,

adoro la sua immensità

il suo stupendo blu,

spavaldo ed incerto

allo stesso tempo.

Voglio dormire cullata

dalle sue onde,

nuotare fino a non avere

più fiato,

perdermi nella sua

maestosa bellezza.

Vedo un gabbiano volare

fiero e regale.

Con ali spiegate,

volteggia felice

e danza

come una libellula.

Finalmente dopo secoli

di forzata prigionia,

lo sento librare felice,

in un cielo

azzurro ed infinito.

Sprizza stelle, luci,

musiche, colori, sapori,

bacia il cielo e le nuvole,

fa l’amore con il creato.

Poi, prosegue il suo volo

per posarsi infine

su quelle onde

bramate da sempre

e raggiunte

solo ora.

Rivalta, 1996.

A te.

Chiudo gli occhi e ti sento tra le braccia, sai di buono,di favole, di miele e borotalco.Mi gira la testa mentre ti bacio dolcemente sul collo e sulle labbra.Sei tenero, forte ed ingenuo,puro come gli Angeli.Ma tu non sei vero, ti ho sempre solo sognato e desiderato.Nei miei sogni di ragazzina impaurita vedevo il tuo viso buono,sempre pronto a perdonarmi.Così ti immaginavo. Ti ho chiamato mille e mille volte, ma tu non mi hai mai sentita.Dov’eri quando urlavo da sola il tuo nome ed avevo bisogno di te?Dov’eri quando il mio cuore e la mia anima traboccavano di angosce e paure? Non sei vero, ti ho solo costruito nella mia mente…..Chiudo gli occhi e mi accarezzo dolcemente la pancia,mentre la tua mano ascolta un suo calcio.Hai aperto i nodi delle mie mani, hai guarito il cuore ammalato, hai fatto rifiorire il mandorlo oramai seccato, hai fatto sorridere ancora le mie labbra,hai piantato l’ulivo e l’amore ovunque.Non sei vero, non sei per me..Ti voglio, ti cerco, sono legata ai tuoi occhi,nel tuo corpo mi stringo con gioia,entro nei tuoi pensieri, mi avvinghio a te e vorrei rimanerci per sempre e oltre.Ti chiedo perdono, ti dono la mia vita, prendila e fanne ciò che vuoi, ma tutto questo non è possibile, perchè tu, come tutta la mia vita sei solo nei miei sogni e dentro ad una favola.

Canali, 03 gennaio 2009 ore 22.14.

Progetta un sito come questo con WordPress.com
Comincia ora