Un senso ( Vasco Rossi).

Voglio trovare un senso a questa sera
Anche se questa sera un senso non ce l’ha.
Voglio trovare un senso a questa vita
Anche se questa vita un senso non ce l’ha.
Voglio trovare un senso a questa storia
Anche se questa storia un senso non ce l’ha.
Voglio trovare un senso a questa voglia
Anche se questa voglia un senso non ce l’ha.
Sai che cosa penso
Che se non ha un senso
Domani arriverà…
Domani arriverà lo stesso
Senti che bel vento
Non basta mai il tempo
Domani è un altro giorno arriverà…
Voglio trovare un senso a questa situazione
Anche se questa situazione un senso non ce l’ha.
Voglio trovare un senso a questa condizione
Anche se questa condizione un senso non ce l’ha.
Sai che cosa penso
Che se non ha un senso
Domani arriverà
Domani arriverà lo stesso
Senti che bel vento
Non basta mai il tempo
Domani è un altro giorno arriverà…
Domani è un altro giorno… ormai è qua!
Voglio trovare un senso a tante cose
Anche se tante cose un senso non ce l’ha
Lalalalala
Lalalalala
Domani arriverà
Domani arriverà lo stesso
Senti che bel vento
Non basta mai il tempo
Domani è un altro giorno arriverà
Domani è un altro giorno arriverà
Domani è un altro giorno

Vi lascio questa melodia del Vasco nazionale, la serata per me è quella giusta, dopo una giornata vissuta all’insegna del ricordo.Potrei dare un titolo a questo ultimo, lento, stanco, pensieroso e affettuoso giorno di Febbraio: “La giornata mondiale del ricordo”. Anche se oramai sta volgendo alla fine, non posso dire di non averla vissuta, pensata, mi sono trascinata dalle 08.05 del mattino, minuto più minuto meno sino a quest’ora nel ricordo. Ho pranzato e cenato male, con il nodo allo stomaco, con i ricordi a farmi da viatico, con i pensieri che sono riaffiorati ancora ed io li ho riaccolti, facendomi illusioni. Non ha senso, non c’è logica oggi come nel duemila, non c’è speranza non ora, non adesso. Forse nella prossima vita, forse… Che senso hanno questi ricordi? Servono solo a far male ad incidere ancora più in profondità ciò che è già profondo, ciò che è già stato in me marchiato a fuoco. Non c’era bisogno di ricordare ancora, è fin troppo presente tutto nei minimi particolari. Mi sono trascinata stancamenteper dodici ore ripensando e risentendo vivido il gesto della famosa stretta del braccio sinistro, mi ci sono persa annaspando senza fiato. Perchè la vita mi fa ancora questi scherzi non voluti, ma bramati? Perchè Reggio Emilia è una città così’ piccola e borghese e prima o poi ci si incontra tutti quanti? Oggi nulla ha senso, le poche forze riacquistate se ne sono andate via, perse nel guardare una bicicletta pedalare in fretta, non ha senso comunque e ne sono consapevole, ma domani arriverà lo stesso e sarà un giorno nuovo da vivere e sul quale vincere. Niente ce l’ha un senso se non sono io stessa a darglielo e stasera non me la sento, perdonami amore mio adorato, ma stasera non chiedermelo.

Le morti in diretta: twittate, bloggate, facebookkate e quant’altro.

 

Rispondo molto volentieri tramite questo nuovo post, ad una cara vicina di blog, che qualche giorno fa ci comunicava la sua angoscia e la sua incredulità, chiedendosi fino a che punto i socialnetwork possano invadere la nostra vita privata e distruggerla. La signora (ogginientedinuovo…) si riferiva al tweet che ora è divenuto simbolo della guerra in Ucraina, mandato dall’infermiera ventunenne in punto, presunto, di morte. “MUOIO”, una parola che Olesya Zhukovskaya (nome e cognome per me impronunciabili) ha fatto in tempo a scrivere, mentre una pallottola l’ha raggiunta ferendola gravemente. Non mi espongo commentando il gesto in sè,  ma cerco di andare al di là e, provo come mio uso e costume a capire. Posto che io se non fossi svenuta avrei chiamato il 118 o i miei famigliari tutt’al più, ma dovrei trovarmi in quell’esatta situazione per sapere con precisione, che cosa avrei fatto. Certo è, che non mi sarebbe mai passato per l’anticamera del cervello di mettermi a twittare, non avrei scritto un post, descrivendo da quale punto del mio corpo mi fuoriusciva il sangue, non avrei letto una mail. Forse avrei gridato di dolore ed avrei atteso l’arrivo dei soccorsi. Tornando all’infermiera, fortunatamente si è salvata e lo ha ritwittato dicendo che era viva. Non solo viva ma facendo le dovute ricerche, si è poi scoperto che questa ragazza è anche nazista. In suo post, sulla sua pagina di VKontakte (il Facebook russo) ha scritto: “Io sostengo il Settore Destro (gruppo neonazista locale, ndr.), e tu?”. La pagina è inoltre piena di link del gruppo, in prima linea nella ribellione di piazza. In una lettera aperta a un giornale ucraino, pubblicata prima che venisse ferita, si apprende inoltre che la giovane infermiera proviene dalla regione di Ternopil, nell’ovest del Paese, ribellatasi nei giorni scorsi. Dalla lettera, prosegue “New Republic”, emerge anche che Olesya è una fervente attivista filo-occidentale e che si trovava in piazza Maidan, a Kiev, dall’inizio delle manifestazioni di protesta. La sua storia nei giorni scorsi era stata raccontata anche dal “Manifesto”. Un modo per farsi sicuramente pubblicità, sia nel caso fosse morta sia nel caso fosse sopravvissuta. Siamo noi che entriamo con prepotenza e scazzottiamo per penetrare in tutti i social network e siamo noi, che affamati di onnipresenza vogliamo documentare tutto sulle nostre provate e logore vite. Se noi e anch’io mi metto dentro al calderone, non gestissimo questi blog, non partecipassim a questi dialoghi solo virtuali, chi saprebbe delle nostre esistenze, ed in che modo facciamo la doccia? Il bon ton e l’eleganza, mescolata alla dignità non ci sono più e vi è questa mania ossessivo compulsiva di farci riprendere in qualsiasi frangente. Dobbiamo in tempo reale comunicare agli altri che cosa stiamo facendo, non c’è più quel giusto distacco tra noi e gli altri. Diamo in pasto le nostre vite al popolo sovrano? Bene, facciamolo, ma non aspettiamoci il plauso o la compresnione e non pensiamo di passare per un sentiero facile, la gogna è sempre lì che ci attende con il suo boia  pronto con l’accetta.  I due soggetti poco credibili, che a Sanremo in prima serata hanno “disturbato” le persone che erano lì per svagarsi qualche ora, ed hanno pagato pure salato per farlo, hanno fatto una bella recita ma non hanno commosso nessuno, si è poi scoperto anche in quel caso, che i due napoletani, bravi commedianti come è nella loro natura da sempre, avevano dei precedenti penali non indifferenti con la giustizia! Non credo che avessero la seria intenzione di buttarsi di sotto, rompendosi un femore o un’anca, ma nulla di più, secondo il mio modesto parere. Un modo per esibirsi e mettersi bene in mostra, per essere notati e compatiti da milioni di Italiani collegati alla Rai  Uno.  Continua a leggere “Le morti in diretta: twittate, bloggate, facebookkate e quant’altro.”

Tu cercami.

Cercami, come e quando e dove vuoi, cercami, è più facile che mai, cercami, non soltanto nel bisogno tu cercami,con la volontà e l’impegno, rinventami.Se mi vuoi allora cercami di più, tornerò solo se ritorni tu,sono stata invadente eccessiva lo so, la pagliaccia di sempre, anche quello era amore però….Questa vita mi ha punita già, troppe quelle verità che mi  son rimaste dentro. Oggi che fatica che si fa, come è finta l’allegria, quanto amaro disincanto. Io sono qui, insultami e feriscimi, sono così, tu prendimi o cancellami, adesso sì tu mi dirai che donna mai ti aspetti, io mi berrò l’insicurezza che mi dai, l’anima mai farò tacere pure lei, se mai vivrò di questa clandestinità per sempre. Fidati, che hanno un peso gli anni miei, fidati che sorprese non ne avrai, sono quella che vedi, io pretese non ho se davvero mi credi di cercarmi non smettere no. Questa vita ci ha puniti già, l’insoddisfazione qua ci ha raggiunti facilmente, così poco abili anche noi a non dubitare mai  di una libertà indecente. Io sono qui, ti seguirò ti basterò  non resterò una riserva questo no, dopo di te quale altra alternativa può salvarci. Io resto qui mettendo a rischio i giorni miei  scomoda sì perchè non so tacere mai  adesso sai senza un movente non vivrei, comunque cercami, cercami, non smettere…..

Questa dichiarazione d’amore ad una persona che probabilmente non merita tutto l’amore dedicato in queste parole, calza a pennello a diverse persone. Io la sento pulsarmi nelle vene da anni, l’ho provata  in relazioni consumate epoi finite. Ho dato l’anima ad un altro, fidandomi, sperando di averne indietro anche solo un  briciolo. Le persone per le quali si fa sovente lo zerbino, non meritano così tanta lacerazione, ma l’essere umano in genere femminile si prostra ai piedi dell’indomito amore, si trasforma in un’ancella e cambia anche i connotati pur di entrare nelle viscere dell’altro. Si arrivano a compiere gesti ed azioni inaudite, ci si annulla, io l’ho fatto, che cosa ci ho cavato? Nulla, ho permesso che anche la mia dignità e la mia personalità, forti e bellissime, se ne andassero via bruciate in quegli amplessi devastanti, che mai più vorrei riprovare. Poche ore, un delirio di passione mista a sesso terribile,  intrisa a dolore, mescolata a pazzia, diluita con allucinazioni di lui o loro, sempre davanti agli occhi: notti e giorni, anni a volte, sperando di averli accanto per sempre. E’ vero che si diventa dei pagliacci, ma i pagliacci non fanno ridere, anzi fanno piangere pure se stessi, con quel trucco demoniaco. L’amore folle e all’ennesima potenza fa male, distrugge, come una droga fa morire lentamente il tossicodipendente: o decidi di smettere di farti o permetti che la coca e l’eroina ti distruggano la pelle e tutti i tuoi organi vitali poco a poco! Non si hanno pretese quando perdi la bussola: ti basta sentire il respiro, sapere che esiste, guardare una foto sua per ore e idealizzarlo, non mangi più, ti dimentichi di bere, non dormi più, sei scostante con tutti…Io diventavo molto brutta quando mi innamoravo o credevo d’innamorarmi, poi piangevo come un’aquila…Al solo pronunciare il nome dell’imprendibile amore mio,  le lacrime scendevano violente e non era certo menopausa! Come presagissi che la storia non sarebbe andata a buon fine. Oggi, con il senno dei dolori e delle amarezze da me fortemente volute, inghiottite e mai digerite nel nome di amori non amori, non mi farei bastare più nulla: sarei avida ed affamata di tutto, sarei pretenziosa e comanderei lui, come la dominatrice con il sottomesso. Vorrei avere frusta e manette vicino, al primo sbaglio suo nei miei confronti per ogni orgasmo che gli farei avere, mille frustate come dono!  Chissà! Questa vita di merda mi ha punito troppo, mi ha dato indietro come regali solo punizioni e sorprese negative, anche dai figli ne ho ricevute, anche da chi dice o diceva di essermi amico, anche dai parenti (parenti/serpenti diceva il mio papà!) anche dai colleghi e colleghe invidiose del mio corpo, del mio viso, demi oancheggiare sensuale, della mia bravura sul lavoro, del fatto che oltre ad un corpo avevo anche un cervello e funzionante per di più! Non mi hanno mai perdonato il fatto che piacevo molto agli uomini, nemmeno mia madre lo gradiva, ma non puoi farci niente, se emani i feromoni la miele i calabroni ti vengono dietro a frotte. Poi, nel momento del bisogno tutti spariti: una persona sta male,  soffre,  ha bisogno di cure e di medicine, di medici e di riposo è una rompiballe, una out, non è più di compagnia, non è più una “news”, no nfa più notizia. Ora che è sempre triste e scazzata, con il colore da fare, con le unghie brutte, con il muso lungo, arrabbiata, sempre in tuta per nacondere il corpo del reato, non ti domandi nel tuo piccolo cervellino di gallina, come mai è così cambiata. Lei che era così solare e sorridente con tutti, lei che credeva che di aver aiutato tante persone, lei che era la vita in persona ,nata per amare la vita e per creare,  ora questa vita le fa veramente venire il volta stomaco. Ma tu cretino e menefreghista, che non vedi al di là del tuo piccolo e storto naso, non glielo chiedi il perché, non le domandi se ha bisogno di un bicchere d’acqua fresca.. Non la puoi più spremere, non la puoi più mungere come si fa con la mucca. Tutto l’amore che ho creduto di seminare  sulla terra ora me lo voglio riprendere indietro con gli interessi. Sono una persona vera, scomoda per tanti, autentica, diversa, troppo sincera e leale: quando ho un attacco di panico, di quelli da rotolarmi per terra, sono sempre tentata di chiamare l’ambulanza come decenni fa, ma non lo faccio più. so che passa, so che non è un infarto, so che non sto impazzendo, ma sto male da morire! Caro Renato senza un motivo non vivrei più da un bel pezzo, non smettere di cercarmi, io sono qui e ti aspetto, ti aspetterò sempre, dovessi morici di attacchi di panico! Ma non ho ancora capito qual’è la ragione che mi tiene in vita, che cosa è che mi fa camminare ogni giorno un’ora, strisciando quasi per terra, madida di sudore, qual’è il movente? Io non lo vedo, e voi?

Non prestiamo il fianco ai figli.

GENTILISSIMI genitori, mi rivolgo a voi che come me avrete senzaltro figli adolescenti che frequentano le scuole superiori. Mi sono trovata quest’anno, nel quale mio figlio sta terminando la seconda superiore,in una situazione a dir poco paradossale, dove io e la mia famiglia siamo rimasti inermi ed increduli sulle risposte che ci sono state date. Premetto, che il ragazzo ha deliberatamente deciso di non studiare mai, di non applicarsi in nessuna materia, nemmeno nelle più semplici, ma ha scelto di voler a tutti i costi “perdere l’anno scolastico”. Non solo, ma dal settembre 2009 a tutt’oggi e’ arrivato sempre in ritardo a scuola. e per sempre intendo sei mattine su sette. Ad un certo punto dell’anno scolastico, verso febbraio mi sono accorta che mancavano un certo numero di richieste di giustificazioni per i ritardi.Ne ho chiesto ragione alla vice preside e mi è stato risposto che qualche insegnante del proprio “team” o se ne è dimenticato o ha abbuonato al ragazzo i ritardi. Chiedo un colloquio d’urgenzacon il preside portando con me l’elenco delle assenze di mio figlio che non sono state da me giustificate. Viene effettuato un controllo accurato del registro di classe in mia presenza, (...) Infine viene chiamato il “fètentone” e la Professoressa nonché Vice Preside, dedica una ramanzina dolce e soave al mio figliolo. Conclusione: sono io la bestia rara che ha osato “denunciare” mio figlio chiedendo spiegazioni. Nonho usato .mai lo facon nessuno dei miei due. figli omertà, non coprirò nessun tipo di ribellione contro le istituzioni Scolastiche e non sarò complice di nessuna marachella: piccola o grande che sia!Mi è stato chiesto infine se io madre preoccupata, che pretende delle risposte ho per caso dei conflitti con mio figlio. Io mamma preoccupata e desiderosa di collaborare con la scuola sono passata per una persona disturbata psicologi
camente che esagera i ritardi del figliolo. Io, non posso sapere al mattino dove va il ragazzo, minorenne per l’altro, che cosa fa, che giri frequenta, ho solo lo strumento della comunicazione che la scuola mi dovrebbe fornire. Altrimenti, io lo penso in classe tranquillo, si fa per dire, a studiare e ad imparare con gli altri.
Certamente l‘adolescenza è un periodo delicatissimo nella vita di una persona, non affermo il contrario, ma lasciare correre sempre e non comunicare alla famiglia così tanti ritardi è una grave negligenza da parte della scuola. Per questo chiedo e pretendo dalla Scuola che mi e ci aiuti, segnalandoci sempre se qualcosa non va o se subentra un fatto anomalo. mi sembra il minimo! Non era mai successo, per lo meno in quell’Istituto, che una madre “sbugiardasse” il figlio, ma anzi mi è stato detto che buona parte dei genitori tendono a coprire le marachelle, le fughe, le assenze, i ritardi, le uscite anticipate. Chiedo che anche gli insegnanti facciano la loro parte, aiutandoci e dando ai nostri ragazzi dei segnali forti durante l‘anno scolastico, insegnando loro che non si può e non si deve prendere per i fondelli la scuola. Aiutateci a formare gli uomini e le donne del domani, da soli, senza voi, noi genitori serviamo a poco. Fabiana Schianchi

Risposta del capocronista dottor Davide Nitrosi:

La prima scuola è la famiglia, si dice.E lei mi sembra un’ottima preside della scuola famiglia.

La patente scaduta.

Non mi sembra vero che siano già passati trent’anni da quell’esame di pratica sostenuto con grandissima paura,  il 18 febbraio 1984! Leggo bene con gli occhiali il pezzo di stoffa, lo rileggo ancora e non mi sto sbagliando!All’autoscuola “Pezzi” di Reggio Emilia, me l’hanno lasciata tenere come ricordo! Ora con la nuova legge ,non la ritirano più e oltre a questo rettangolo di tela robustissima color rosa, mi hanno lasciato in mano e nel cuore anche tanti giorni di esistenza felice e dolorosa. La giro tra le mani, l’annuso, la guardo, la tocco, cerco nelle sue pieghe qualcosa che mi è sfuggito di mente, la osservo con gli occhi del passato e tante, troppe  sensazioni mi ritornano a galla. Intanto il papà mi iscrisse a scuola guida nell’inverno seguente la maturità, non durante l’anno scolastico come fecero i miei compagni di classe. Quindi ancora una volta partii svantaggiata rispetto agli altri, che già sapevano guidare e andavano a ballare al sabato sera o alla domenica pomeriggio,  autonomi senza la vergogna dei genitori che li accompagnavano! Il pezzo di stoffa rosa tra le mie mani misura aperto cm. 22 x 10, chiuso e ripiegato su se stesso misura 7,3 cm x 10 cm. Se lo apro e lo distendo per bene sulla mia scrivania lo scopro a tre facciate: nella prima c’è la fotografia di una Fabiana appena diciottenne, con il taglio di capelli alla Sue Ellen Ewing (nata Shepard ) della serie Dallas, che tanto andava di moda a quei tempi! Nella facciata di mezzo i primi tre cambi di indirizzo e residenza, indice di altrettanti traslochi e, nell’ultima la tipologia dei veicoli che posso guidare: veicoli di tipo A, cioè i motoveicoli di peso a vuoto fino a quattro quintali. Veicoli di tipo B, cioè motoveicoli di peso a vuoto superiore a quattro quintali, gli autoveicoli per trasporto promiscuo, gli autocarri e autoveicoli uso speciale o trasporti specifici di peso a pieno carico fino a 35 quintali, ed infine le autovetture. Non sarei mai stata in grado penso, di guidare qualcos’altro che non fosse la mia Simca 1000, divenuta in seguito la mitica Simca 1100 GLS (gran lusso sfrenato dicevo io…)ed il mio motorino Ciao di colore bianco! Se giro la mia patente, sì perché anche se è scaduta da pochi giorni, ed ora posseggo la nuova, questa è e resterà per sempre la mia unica e sola patente.   Vedo una facciata piena zeppa di marche da bollo: una appiccicata sull’altra. La prima era forse da quindicimila lire, ne scorgo alcune da diciottomila lire e le ultime da settantamila lire! Poi non ricordo bene come fu, ma fu che le marche da bollo non si misero più e si pagava dal tabacchino la tassa annuale. Leggo altri cambi di residenza, altri traslochi, altre famiglie nuove, uomini diversi, figli nuovi, altri pezzi di vita rotti ed in frantumi… C’è un altro rinnovo: nel 1994 fino al 2004, anno in cui ero incinta della mia tesorona Alice Aurora e mi presentai alla visita medica  con un pancione tipo mongolfiera. Dopo pochi giorni avrei partorito e stavo veramente per scoppiare o per volare in aria dalla felicità! Uno dei rari momenti della mia vita dove sono stata felicissima, come forse non mai! Conto i cambi di residenza: sono sei, più i tre rinnovi, non vi è più alcun dubbio! Sono proprio trascorsi trent’anni da quel mattino di nebbia, nel quale senza carta d’identità mi presentai all’esame. Per la grossa agitazione la scordai a casa e l’ingegnere esaminatore mi avrebbe anche potuta non accettare, facendomi rimandare ancora la prova! Per fortuna l’ingegner “De Chiara” leggo la sua firma sulla mia foto tessera a colori, fatta nelle macchinette automatiche per spendere poche lire. fu magnanimo con me.  Mi perdonò e capì il mio stato d’animo di ragazzina impaurita e molto emotiva! Guidai su una Fiat Ritmo bianca: io e il mio istruttore di scuola guida davanti, l’ingegnere dietro a darmi i comandi e fu una delle guide peggiori di tutta la mia carriera di guidatrice. Avevo il ragionevole sospetto che sarei stata bocciata, tremavo come una foglia e non ne combinavo una giusta. Poi la salvezza: mi fece fare come ultima prova,  anche una di quelle manovre pazzesche, cioè il parcheggio all’indietro sulla destra della carreggiata. Magicamente quello non lo sbagliai e dal momento che era considerata una delle manovre più “impestate” per l’epoca e pochi ragazzi riuscivano ad effettuarla venendo così bocciati, io riuscii a superare anche quell’esame che la vita mi mise davanti. A quale prezzo di tensione e di agitazione me lo ricordo ancora oggi, toccando il pezzo di stoffa rosa, ma comunque ce la feci! Vi confesso solo ora che invece, per quanto concerne l’esame di teoria, dovetti sostenerlo due volte, perché la prima volta non avevo studiato a sufficienza! Mio padre e mia madre mi minacciarono (e sono sicura che l’avrebbero fatto!!) di ritirarmi dall’autoscuola Pezzi, così mi misi a studiare con buona volontà il libro dei segnali e della meccanica dell’auto: a distanza di due mesi ridiedi l’esame con ottimi risultati! Costava tanto in fatto di soldi, seguire le lezioni di pratica e di teoria, non tutti se lo potevano permettere, ma il grande desiderio d’indipendenza e di essere autonoma, mi consentì di prendere la patente, preceduta dal mitico “foglio rosa” per poter circolare nell’auto di papà, la famosa Simca 1100 alimentata con, non ci crederete mai….  la benzina agricola che metteva nel trattore per risparmiare le lire!

Spiagge.

E’ una poesia meravigliosa, si può leggere anche senza musica. Quel grandissimo artista e poeta che è renato fiacchini, ha saputo interpretarla cantandola, ma sono certa che anche se la leggesse solo, cosa non facile peraltro! sarebbe un successo enorme. Vi riporto il  testo, pensatela come meglio credete, abbinandola ai vostri momenti più intensi o malinconici.Vi ricordo che uscì nel 1983 nel  Q-disc Calore che contiene l’hit radiofonico Spiagge (il Q-disc è un invenzione discografica anticrisi di quel periodo, un LP solitamente con soli quattro brani, venduto a un prezzo a metà strada tra il 45 e il 33 giri).

 

Spiagge, immense ed assolate,
Spiagge già vissute, amate poi perdute,
In questa azzurrità, fra le conchiglie e il sale,
Quanta la gente che, ci ha già lasciato il cuore.
Spiagge,
Di corpi abbandonati,
Di attimi rubati,
Mentre la pelle brucia,
Un’altra vela va, fino a che non scompare,
Quanti segreti che, appartengono al mare.
Un’altra estate qui, e un’altra volta qui,
Più disinvolta e più puttana che mai,
Mille avventure che, non finiranno se,
Per quegli amori esisteranno nuove
Spiagge,
Di cocco e di granite,
Di muscoli e di bikini,
Di stranieri e di bagnini,
Quel disco nel juke box,
Suona la tua canzone,
Per la tua storia che,
Nasce sotto l’ombrellone.
Spiagge
Un’altra vela va,
Fino a che non scompare,
Quanti segreti che,
Appartengono al mare.
Un’altra estate qui, e un’altra volta qui,
Più disinvolta e più puttana che mai,
Mille avventure che, non finiranno se,
Per quegli amori esisteranno nuove
Spiagge,
Dipinte in cartolina,
Ti scrivo tu mi scrivi,
Poi torna tutto come prima,
L’inverno passerà,
Tra la noia e le piogge,
Ma una speranza c’è,
Che ci siano nuove Spiagge…, Altri testi di Renato Zero meravigliosi potrebbero essere:

 

Oggi facciamo le chiacchiere?

Ingredienti per 8 persone:

500 g di farina 00
1 uovo
2 tuorli
2 dl scarsi di latte fresco intero
150 g di zucchero
1/2 bustina di lievito per dolci
20 g di burro
zucchero a velo
olio di semi di arachidi o strutto per friggere

Preparazione: Si parte con la preparazione dell’impasto;intrigoni.jpgtogliamo il burro dal frigorifero e lasciamolo ammorbidire a temperatura  ambiente. Versiamo la farina a fontana sul tagliere di legno e formiamo un grande buco al centro. Sbattiamo leggermente l’uovo e i tuorli con lo zucchero. Aggiungiamo il latte e il lievito per dolci setacciato. Mescoliamo e versiamo il  composto all’interno del cratere. Aggiungiamo poi il burro ammorbidito.  Iniziamo a lavorare l’impasto con una forchetta, amalgamando a poco a poco, la  farina alle uova e al latte. Quando l’impasto è meno liquido  iniziamo a  lavorarlo con le mani, fino ad ottenere una palla liscia e morbida.  Avvolgiamola nella pellicola trasparente e lasciamola riposare almeno 30  minuti.C’è tra le nostre “rezdore” cioè cuoche emiliane, chi la lascia riposare anche tre ore! Dividiamo poi, la nostra pasta in 4-5 pezzi e stendiamoli uno alla volta, con il  matterello fino a ottenere una sfoglia di 3-4 mm di spessore. Forma le losanghe,cioè le forme tipihce a rombo dell’intrigone o chiacchiera. Tagliamo ciascuna sfoglia con la rotella dentellata, in modo da  ricavare tante losanghe di 7 cm circa di lato. formaintrigoni.jpgPratichiamo sugli intrigoni 2 tagli obliqui e infiliamo in ciascun taglio un angolo delle losanghe. intrigoni finiti.jpgScaldiamo a fuoco medio dentro ad una capiente padella antiaderente, un’abbondante quantità di olio o strutto.Appoggiamo dentro padella poche chiacchiere alla volta, tendono a gonfiarsi durante la cottura, giriamoli a metà  cottura con un mestolo forato quando ci accorgiamo che sono ben dorati da un lato. Quando saranno bene cotti e croccanti, ma ancora chiari di colore e non strinati!! li estrarremo, facendoli asciugare per bene su carta assorbente. Con un colino, spolverizziamoli con zucchero a velo. Lasciaamoli raffreddare, e con aranciata per i bambini o vino bianco per noi, buone e gustose chiacchiere!

Le nuove materie del 2014 in Terza Elementare (Prima puntata).

 

Buongiorno a tutti, oggi mercoledì 19 febbraio 2014 proviamo a sviscerare alcuni aspetti interessanti di questa nuova materia, divenuta oramai oggetto di programma ministeriale, tanto se ne aprla in classe!  Il  sesso, materia così simpatica a tutti, anche se molto ostica da imparare e da mettere poi in pratica,una volta divenuti adulti. Nell’introduzione del 15 febbraio, categoria “I bravi alunni” ho tentato di illustrare la curiosità bramosa e nel contempo l’impreparazione oggettiva, dei nostri bambini di nove anni nell’affrontare in modo corretto l’argomento. Non potrebbe essere diversamente, a meno che i pargoli non siano figli di bravi e preparati medici sessuologi e abbiamo già nel cervello tutto il sapere necessario alle paratiche sessuali.Partiamo dal punto iniziale: oggigiorno ci sono molti mezzi di comunicazione, non solo tecnologici ma anche analogici, si parla a tavola e in ogn idove molto più liberamente di un tempo, i bambini pranzano e cenano a tavoal con i genitori, uan volta cenavano da soli. Ascoltano perciò volenti o nolenti tutti i tipi di discorso affrontati nell’ora del desco. Vi è poca ristrettezza e poca rigidità  per le fasce orarie protette, poca educazione e rispetto per chi ascolta, da parte di chi parla liberamente di pene e della propria lunghezza e dimensione. Per capirci meglio, accade anche alle ore 17, in un banale programma audiofonico, tenuto da due personaggi che credendo di essere simpatici, parlano come nulla fosse di diametri, durata, lunghezza e colore del membro maschile per eccellenza! Non tengono minimamente in considerazione che seduti in auto o sul divano di casa, possono ascoltare la trasmissione anche dei bambini, che a loro volta si faranno delle domande e alcuni, metro in mano e pene nell’altra mano, prenderanno le loro dovute misure. Faranno i primi confronti gli uni con gli altri, faranno poi vedere in classe chi ha vinto la gara, (succedeva anche in tempi remoti, non è novità questa..). Alcuni maschietti mimano in modo eccelso, scene di sesso orale con la lavagna, con la cattedra, con gli armadi, con i banchi e con le seggiole. Seguono meticolosamente i passaggi che tali pratiche comportano, emettono suoni e gorgheggi intonati al momento, ansimano e mettono così in scena, la “scenetta” degli adulti. Parlano del papà che ha l’amante, raccontano che se esce il papà, la mamma sta in casa e che i due non escono mai da soli, dove c’è uno non c’è l’altra perch’ il papà deve vedere l’amante. Non crediate che ai bambini scappi qualcosa, sentono e vedono tutto anche se fanno finta di essere immersi nel loro programma televisivo con tanto di cuffie!Mi domando se capita anche nelle classi dei vostri figli, o nopiti, o cugini, o figli di amici e amiche, mi domando dove essi apprendano tali nozioni e vedano tali pratiche: guardano di nascosto i genitori, spiandoli dal buco della serratura, fingendo di dormire? Guardano da soli, il che sarebbe ancora peggiore, film osé su Internet, o si appropriano delle cassette porno, che certe coppie di genitori possiedono? Non facciamo finta di non saperlo e non caschiamo dal pero: molte coppie guardano con una certa regolarità film porno. Da soli, o in compagnia del/della consorte. Non c’è nulla di strano, non vi è nulla di male, non sono bigotta o antica e da giovane ho guardato anch’io quella porcheria: visto uno, visti tutti! Gli adulti possono guardare ciò che credono, ma almeno siano prudenti nel nascondere ai figli piccoli questo loro mondo privatissimo. Il maschio quindi già in tenera età, agisce, compie il gesto, lecca l’armadio, ansima, si slaccia i pantaloncini ed esibisce il piccolo pene, come trofeo o come giocattolo. Mentre lo fa guarda  con occhio di sfida, chi lo sta osservando in quell’istante e può avere due reazioni: la prima e la più logica, data l’età, è quella di ridere a crepapelle per la cavolata che tutto sommato ha compiuto “son robe da bambini” si dice in queste occasioni, minimizzando il tutto. Se invece l’attore, cioè colui che ha compiuto ed inscenato l’atto birichino, pensa di aver tentato un’impresa ardua e nuova, mai tentata prima, sarà serio e valuterà il da farsi. Quindi, tronfio e soddisfatto dell’esibizione, invoglierà altri compagni ad emularlo e quasi sicuramente, dopo un certo lasso di tempo ripeterà il gesto per appurare se le reazioni altrui sono le stesse o sono cambiate. Fortunatamente molti bambini ridono di queste rappresentazioni, ma….ma, non tutti reagiscono alla scena in modo sereno e normale, come fosse la cosa più ovvia del mondo. Qualcuno/a potrebbe rimanere  turbato, non preparato causa l’età, oppure meravigliato perché in famiglia non si è ancora parlato di sesso, ma si racconta che i bambini nascono sotto al cavolo, portati dalla cicogna. Arrivo alle bambine, molto più profonde e furbe tra virgolette del maschio, molto più machiavelliche e viperucce, usano le parole e le storielle, sono incantatrici e si inventano sovente, fatti e cose non accadute, per fare bella figura davanti alle altre bambine, per intrigare ed interessare anche l’altro sesso. “Io sono già una ragazzina, sono grande ed ho già fatto sesso  con un mio amico, mentre i miei genitori erano in salotto a chiacchierare”. Da piccole bambine diventano di colpo piccole donne saccenti, risultando di grande attrattiva per quelle compagne che ancora del sesso sanno poco o nulla.  Potrebbero così divenire simbolicamente “il capo branco” ed essere punto di riferimento per le altre femmine. Ma così imparano notizie fuorviate, con termini a volte giusti ma che non sono recepiti nel modo corretto dalle altre bambine. Da qui in poi nasce tutta una serie di domande che anche Alice mi fa, alle quali è difficile e complicato rispondere. Per fortuna mia figlia è una di quelle bambine che, della scuola e delle ore trascorse in classe ci ha sempre raccontato tutto, con dovizia di particolari fin troppo espliciti. In questio ultimo periodo, chiede a me e a suo padre, se è possibile e se è vero, che la tal compagna quando aveva sei anni si è fatta ” baciare la passera” da un suo amico. “ma lei  mamma, come ha fatto a “ baciare il pisello” di lui? Io genitrice, in quel momento vorrei sprofondare, ma il mio titolo ed il mio ruolo di educatore, mi impone di cercare le parole più giuste, di tranquillizzare la bambina e di fornirle motivazioni credibili, esponendole in modo sano e naturale. Senza ridere e senza sottovalutare gli avvenimenti. Non è facile amici, non è come spiegare i dinosauri o le tabelline, il mestiere di genitore sappiamo che è il più difficile e delicato del mondo. Siamo noi i primi ad essere responsabili della serena crescita di coloro che abbiamo dato al mondo senza che lo avessero chiesto, siamo noi genitori a doverli tutelare per primi. Poi arrivano in sinergia con noi, gli insegnanti, gl ialtri genitori con i quali è bene e doveroso confrontarsi, gli educatori religiosi sani e seri, i pediatri, i medici di famiglia, gli psicologi, il pedagogista, i fratelli o sorelle più grandi. Crescere un figlio è un duro lavoro d’equipe, occorre sangue freddo e preparazione, garbo pazienza e guai a picchaire un bambini solo perchè ha parlato di sesso!  Non ci so può improvvisare genitori, non tutti hanno “la vocazione” per essere dei bravi genitori, soprattutto quando agiscono contro il bene dei propri bambini, ma per loro esclusivo tornaconto personale.

Continueremo tra qualche giorno l’argomento, ora ve lo lascio a sedimentare, sperando che faccia uscire parecchie idee di confronto! Credo ce ne sia di ben donde da parlare…..

 

Le materie nuove in Terza Elementare (introduzione)

 

Non so se funziona così in ogni classe Elementare d’Italia, non conosco nel dettaglio quali possano essere gli argomenti che interessino i bambini di nove anni e quali sono le materie scolastiche che preferiscono. Conosco bene la materia che preferisce mia figlia, so dove ha lacune da colmare e so con certezza che al posto dei compiti pomeridiani preferirebbe giocare. La pagella, ricevuta il giorno 12 febbraio era come media sul “distinto”, quindi non posso certo lamentarmi, ma siamo ben lontani dall’attenzione delòla classe in generale, per le materie di studio e gli argomenti che le insegnanti trattano “Già. è una classe molto vivace, questa! Sin dalla prima elementare tutti quanti erano molto vivaci, chiacchieroni, le femmine più dei maschi!” E questo ci può stare, è nella norma della sana crescita di un bimbo dell’età di Alice. Sicuramente ognuno di loro, in ogni regione, ed in ogni città del mondo avrà le proprie materie preferite, quelle che studia più o meno volentieri. In una in particolare potrà raggiungere l’eccellenza, non farà alcuna fatica a studiarla per ore e forse sarà quella che lo spronerà a seguire un futuro indirizzo scolastico piuttosto che un altro. Si usa chiedere spesso ai bambini:”Che cosa vuoi fare da grande?”. E loro fieri e sicuri alcuni, molto tremolanti ed incerti altri, rispondono, smangiucchiandosi un’unghia:”Da grande voglio fare l’astronauta” “Io invece da grande andrò a lavorare in Australia, qui in Italia non c’è più lavoro, lo dice sempre il mio papà!” “Io invece voglio fare la velina e sposare un calciatore…” Mah che dire! Le opzioni dei mestieri del domani potrebbero essere tante e tutte diverse tra loro, i posti di lavoro disponibili e remunerativi si vedrà, le ambizioni dei piccoli si evolveranno e si trasformeranno con gli anni. Forse chi tra le bambine oggi, afferma che da grande farà la parrucchiera o l’estetista, la pediatra o l’attrice, domani potrebbe divenire una brava manager aziendale o una sarta d’alta moda, non fa differenza. Esiste però una materia universale, amici miei, che interessa ed incuriosisce tutti, una materia nella quale i bambini spendono ore e ore a cercare di scoprirla il più velocemente possibile, una materia che fa far loro illazioni pazzesche ed idee contorte e fuorviate. Questa materia, un nome di sole cinque lettere, fa ridere e sorridere questi bambini già alla loro età, li fa arrossire nel momento in cui cercano di pronunciare alcuni termini riconducibili ad essa, si ingarbugliano nei vocaboli, negli aggettivi, nelle varie tipologie. Li fa divertire come potrebbe essere un clow chiamato alle loro feste di compleanno,  fa raccontar loro bugie plateali su di essa, la sanno trasformare e plasmare a seconda di ciò che hanno visto in tele o ascoltato dai fratelli e sorelle più grandi, riportando l’esatto contrario di ciò che hanno udito. Diviene così materia di scherno, di burla ,quasi una beffa carnevalesca. Nella classe terza di mia figlia, è dall’inizio di quest’ anno scolastico che ne parlano tra di loro, si scambiano consigli, pur non conoscendola ancora in modo approfondito (ci si auspica!), stanno imparando l’uso del vocabolario e quindi spesso vanno a cercare su di esso la radice della parola e le varie desinenze! E’ una materia molto difficile da spiegare a dei bambini piccoli,  da far capire nei modi giusti all’età giusta. Questi bimbi tecnologici d’oggigiorno, i nostri figli digitali (come li chiamano)  sono indubbiamente molto più svegli e perspicaci di quanto non potessi essere io o alcuni di voi alla loro età. I componenti di questa fantastica (se ben spiegata e capita) materia sono variegati, pieni di miliardi di sfaccettature, sono componenti delicati, ricchi di termini scientifici e medici.  Se non trattata e maneggata con cura, rischia di rompersi, rischia di venire svilita, imbruttita e raccontata per qualcosa di molto sporco o mercenario. Un passatempo da farsi nei lunghi pomeriggi invernali, un’attività da svolgersi con chiunque ne domandi l’assaggio, un oggetto da collezionare insieme ai peluche e alle Barbie, rischiando così di buttare via in malo modo e anzitempo una delle cose più belle che la vita ha creato: il sesso.

 

Il panino al prosciutto crudo.

 

Negli anni settanta ogni giorno tutti andavamo a scuola a piedi ogni giorno, pochi o tanti passi si facevano per raggiungere l’edifico scolastico, con le nostre logore cartelle attaccate alla schiena, ma rigorosamente a piedi. Anche se pioveva forte o nevicava. Solo se c’era molta neve e per non rischiare di affondare con le mie scarpe, ero accompagnata da papà. Mio padre Antonio indossava un paio di stivali di gomma, erano quelli che usava per andare nella stalla o nei campi, non erano certamente Moon Boot, scarponi da montagna o stivaloni lunghi al ginocchio, adatti per la neve. A volte mi prendeva in braccio, io avevo soggezione, ma c’era la cartella a me avvinghiata a proteggermi. Era burbero, taciturno, grezzo nelle movenze ma onesto. Aveva cinquantuno anni il mio papà quando io facevo la prima elementare, ed era già vecchio d’aspetto, con i capelli bianchi e le rughe che gli solcavano il viso, un viso stanco e massacrato da tutto quel lavoro nei campi e dalle levatacce alle quattro e mezzo del mattino, per mungere a mano le nostre mucche. Sono convinta che mi volesse molto bene, mi ha desiderata molto, ma non me lo ha mai saputo dimostrare. Quando stava per  imparare ad essere affettuoso, si è ammalato gravemente poi è morto. Tutto qua. Alle dieci e trenta puntuale ogni mattina, sabato compreso, tutte le cinque classi udivano il suono metallico della campanella che annunciava l’intervallo, la pausa, la tregua, il “coffee break”, si direbbe oggi. La mia maestra Pina Bellocchi e le altre sue colleghe, chiamavano ricreazione quei quindici /venti minuti di relax. Io ed i miei trentuno compagni (in prima eravamo in trentadue!), aprivamo in tutta fretta e con grida allegre, le nostre cartelle di cuoio marrone o verde.Cercavamo sul doppiofondo di estrarre qualcosa che era per noi fonte di amicizia e di condivisone:l’amata merenda e le figurine dei calciatori dell’album della Panini. Con molta ansia e fretta, compivamo i nostri gesti, avevamo fame ed estraevamo il sacchettino con la merenda! Poi i maschietti, tutti attorno ad un unico banco, iniziavano il gioco dello scambio delle figurine“manca, manca, manca, ce l’ho, ce l’ho, ce l’ho….”Tanti occhietti furbi e svelti tra un portiere e l’altro (FIGURINA MOLTO AMBITA…),sbirciavano di sottecchi, che cosa c’era nel tovagliolo di stoffa a quadri bianchi e rossi degli altri. Io per tanti anni, mi sono ritrovata a far merenda sempre e solo con un panino, nemmeno troppo morbido, al prosciutto crudo di Langhirano. Ero sbeffeggiata e presa in giro dai compagni, ero “quella del panino al prosciutto”.Altri  invece erano già alla moda e portavano le prime schiacciatine, il panino con dentro i formaggini “Il milione” quello che dava con i punti accumulati,  la mucca Carolina, e Susanna tutta panna! Erano pupazzi gonfiabili di plastica, ricordo ancora quel profumo di plastica..Alcuni, quelli più benestanti portavano il gnocco comprato al forno,  riconoscibile perchè era avvolto da una carta oleosa color azzurro, le bambine spesso avevano un pezzo di torta oppure “paneburroemarmellata”. Povera Fabianina! Ero così buffa, vestita con gli abiti dismessi dei cugini, sempre più grandi di due taglie, le scarpe almeno di un numero in più, così le utilizzavo per due inverni e quel benedetto, antipatico, ottimo, panino al crudo! Erano risate grasse quelle dei miei compagni, che sbocconcellavano il loro gnocco o sgranocchiavano le patatine Pai. I crachers o gli yogurt credo non li avessero ancora inventati, frutta o verdura cruda non usava portarla a scuola ed io piangevo e mi asciugavo le lacrime, perché con quella merenda sembravo ancor più distante da loro di quanto non fossi già. “Stefano, mi dai un pezzetto del tuo gnocco, per favore? Facciamo cambio, io ti do un pezzettino del mio panino e tu mi fai assaggiare il gnocco..” dicevo con la goccia che mi cadeva all’angolo della boccuccia. Il mio compagno di classe, bambino titubante e molto chiuso, con me andava d’accordo e parlava, dopo lunga ed attenta riflessione, accettava il cambio. Poi addentando il panino con quei denti ancora da latte, alla fine diceva che non era poi così male! Nei mesi seguenti anche gli altri, fiduciosi e curiosi, mi offrivano spontaneamente la loro merenda, in cambio di un pezzetto di pane al crudo, rimanendo estasiati per quel sapore genuino che non ho mai più ritrovato. Più avanti venne introdotto l’uso della carne di cavallo cruda, condita con olio e limone, poi messa all’interno di panini e gnocco. Le nostre mamme dicevano che era essenziale mangiare la carne di cavallo o puledro cruda, macinata due volte, perché era ricca di ferro. Noi bambine saremmo presto divenute donne, perciò facevano prevenzione, fornendoci anzitempo il ferro ed i sani principi nutritivi contenuti nei cavalli di quei tempi. Oggigiorno è per me impensabile mangiare carne cruda, di qualsiasi tipo, basti pensare a tutti gli steroidi, i farmaci e gli ormoni che molti animali ingurgitano,prima di finire nei nostri piatti, specialmente i cavalli se sono stati cavalli da corsa. Anche per me pian pianino arrivò l’era del gnocco imbottito con il salame, la coppa, la mortadella e alle scuole medie, potevo comperarmi “cento lire”(venti centesimi circa..) di pizza fatta al forno! Mi sentivo finalmente uguale agli altri, grande e donna già ad undici anni, con il mio elastico che aveva sostituito la cartella, e quelle cento lire in tasca per la pizza. Ho ripensato spesso a quella bambina piccola, con i capelli corti da maschietto, con il visino spesso triste, quelle scarpe più lunghe del suo piedino e quel panino al prosciutto. L’ho cercata ovunque ma non l’ho più ritrovata, nemmeno se guardo le fotografie di allora e nemmeno se mi sforzo di pensare a cosa posso aver esattamente provato nel mio cuoricino, quando i compagni sorridevano per via di quel panino.

 

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